L’idea parla delle nostre cicatrici: servono per segnare l’identità, si trova il docente che aiuta ad emergere. Si muove una classe intera: tutti insieme, anno dopo anno. L’obiettivo è: provare a realizzare qualcosa per avere la forza nelle mie mani. I docenti stanno insieme a noi, a manifestare. E lo faranno anche domani, vogliamo superare la paura di non sentirci all’altezza, perché non sai chi hai di fronte, per provare l’emozione di sapere che questo avviene qui, perchè lo facciamo noi, insieme. L’aula è abbandonare le regole. Questa visione serve a sconfiggere la fame. Le nostre cicatrici raccontano chi siamo, riportandoci al passato per rendere più chiaro il tempo che viviamo. Inciampando perdiamo per un attimo di vista i nostri sogni, ci sentiamo disorientati e vulnerabili. In quel momento, se ognuno di noi ha il coraggio di mostrare le proprie ferite agli altri, scopriamo di non essere semplicemente “individui” ma una collettività. Porgendo la mano all’altro, scoprendo le sue ferite, possiamo identificarci e sentirci una comunità. Non ci sono regole, se non quelle di tenersi per mano e sostenersi nel nostro viaggio insieme. Per sconfiggere la fame interiore e sentirsi appagati nell’anima.